
Si chiama Stefano Argentino l’ultimo ragazzo che è arrivato a odiare una ragazza al punto di ucciderla con una coltellata alla gola. È l’ultimo in ordine di tempo, sia chiaro. Oggi ce ne sarà un altro. Domani, un altro ancora. È una strage inarrestabile, in cui i protagonisti cambiano nome ma sono sempre gli stessi: giovani che si attraggono e poi si respingono e per questo muoiono o fanno morire. Nel femminicidio di Messina -questo, di cui vi sto parlando- non c’è neppure stato il passaggio della relazione conclusa per volontà di lei, con lui che rifiuta di essere lasciato. No. È nato tutto nella testa di questo ventisettenne che da due anni si era messo in testa di volere tutta per sé la collega di università Sara Campanella, ventidue anni, e la tormentava per questo. Lei l’aveva soprannominato il matto, nelle chat con le amiche, ma, evidentemente, non pensava fosse pericoloso. Solo molesto. Qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, Massimo Gramellini si chiedeva se tutti questi ragazzi che manifestano una visione “proprietaria” dei sentimenti “siano così perché non hanno amici o se non hanno amici perché sono così”: amici che ti ascoltino; ti lascino sfogare e ti facciano ragionare. Io aggiungo un ulteriore interrogativo: che madre hanno avuto, questi assassini malmostosi? Dov’era questa donna mentre il suo bambino cresceva e diventava abbastanza grande da nascondere un coltello sotto la giacca per tagliare la gola a una donna che non può avere? Che esempio ha dato mentre lo cresceva e lo vezzeggiava? Che cosa gli ha cantato a ninnananna: tu sei il centro del mondo, hai diritto a tutto, e tutto ti viene scusato? Sì, d’accordo, adesso non cominciate a dirmi e il padre, allora? la scuola, la società… Certo, tutti abbiamo la nostra parte di responsabilità in questa tragedia che sta diventando una sorta di emergenza nazionale, ogni anno peggiore (centodieci donne uccise nel 2024, di cui novantacinque in ambito familiare/affettivo; già dieci dall’inizio di quest’anno) ma le madri, a mio parere, ne hanno un po’ di più: perché sono donne, e sanno che cosa sono gli uomini e che cosa possono essere. Per cui dovrebbero impegnarsi molto a fare del proprio maschietto un Maschio migliore.
“Maschietto”. “Femminuccia”. I termini sono orrendi per quello che sottintendono. Ed è questa cultura che dovrebbe cambiare, non per legge ma per un’auspicabile evoluzione del sentire comune. Il vocabolario si adeguerebbe
Anche alcuni padri mettono del loro, ne ho visti parecchi, purtroppo non tutte le donne hanno il carattere necessario per pretendere il rispetto… al di là di questa considerazione, credo che il come sei cresciuto abbia un peso ma sicuramente incide la personalità di questi ragazzi che sono deboli, fragili e non sanno affrontare le delusioni ed i problemi, non hanno nessuno con cui confrontarsi, confidarsi, si chiudono e non sapendo accettare un no credono che il vendicarsi sia l’unica soluzione.